Il distacco
Rinuncia
Meglio essere a zero su un buon cammino che a buon punto fuori strada.
Oserei addirittura dire che se siete a zero, avete già percorso l'essenziale!
Quando cercate di andare da qualche parte, finché non sapete dov'è la strada, siete persi(e). Ma quando la trovate, siete salvi(e); non dovete fare altro che seguirla tranquillamente fino alla destinazione, anche se è lunga.
Questo può sembrare al contempo assurdo e semplicistico, ma la rinuncia è il solo mezzo che ci conduce a una felicità autentica, a una comprensione profonda delle cose e alla fine delle proprie sofferenze, comprese quelle che sembrano più indelebili. Se noi comprendiamo ciò, allora possiamo sicuramente ritenerci a zero.
Nelle successive pagine, parlerò ancora della rinuncia. Altrove, non se ne parla quasi mai. Eppure, è un punto essenziale, è il punto. Qualunque sia il vostro ideale spirituale o di benessere interiore, non ci riuscirete se non rinunciando a tutto quello che vi ostacola. E come forse sapete, la soddisfazione duratura non è una questione di acquisizioni o di riempimento.
Al contrario, si tratta solamente di una questione di pulizia, di lasciare andare. Si pulisce la mente dai suoi comportamenti malsani, si lascia andare ciò a cui ci si aggrappa così fermamente e che però, non ci porta che guai. Questo processo, è quello che noi chiamiamo la rinuncia.
Finché la vigilanza non è completa e continuativa, la nostra mente dimora dominata da stati malsani, che i nostri pensieri si attivano ad alimentare.
Distacco, rinuncia, qual'è la differenza?
Distaccarsi da una cosa (materiale o non, come un'abitudine), significa non provare più desiderio, inclinazione, interesse o dipendeza nei suoi confronti. Rinunciare a questa cosa è liberarsene o, semplicemente, non preoccuparsene più.
Cosa accade se tentate di togliere a una scimmia la noce di cocco alla quale si aggrappa fermamente? Potete facilmente indovinarlo, lei si metterà a urlare, a mostrarvi i denti e ad attaccarsi più che mai alla sua noce di cocco.
Evitate pertanto di rinunciare a ciò per cui provate ancora un forte attaccamento. Altrimenti, la vostra “scimmia interiore” si metterà a urlare e ad attaccarsi ancora di più alla cosa a cui avete rinunciato.
Immaginate di abitare in un appartamento modesto stipato di cose che usate raramente, o addirittura per niente. Non vi sentireste molto meglio dopo esservi liberati del superfluo?
È la stessa cosa con la vostra mente! Non esistate mai a rinunciare a tutto quello che per voi non ha un vero interesse o valore.
Sappiate rinunciare ragionevolmente. Se ci sono molte cose per le quali non avete quasi più attaccamento, ma non rinunciate a nulla, se conservate tutti i vostri piccoli piaceri, inesorabilmente, vi state preparando a molti inconvenienti di ogni genere.
Se rinunciate a tutto – o quasi – nel momento in cui persistono alcuni attaccamenti, anche in questo caso, vi state preparando inevitabilmente a tante sofferenze.
Il cammino ragionevole consiste nel rinunciare alle cose (oggetti, attività, abitudini, opinioni…) alle quali la vostra mente si incolla poco o niente, e trattare le altre con vigilanza, in modo che si scollino delicatamente e a tempo debito.
Alimentare gli attaccamenti, vuol dire alimentare la sofferenza.
Tutti i saggi concordano su questo punto chiave:
- I nostri attaccamenti sono la causa delle nostre sofferenze.
Se non ne siete già convinti(e), una piccola riflessione può essere sufficiente per prenderne coscienza. Prendete qualcosa alla quale date molta importanza. Per esempio: la vostra collezione di quadri, la vostra casa di campagna, i vostri vestiti, i vostri capelli, la vostra reputazione professionale…
Valutate ora gli sforzi e i sacrifici che vi sono costati per acquisirla e alimentarla. Immaginate ora cosa sentireste perdendola e il tempo che vi occorrerebbe per rimettervi completamente.
Infine pensate a che punto ciò non vi importerebbe se non aveste il minimo attaccamento. Vi sentireste così leggero(a)!
Riflettendo in questo modo, non tarderete a constatare da soli quanto siamo schiavi dei nostri possessi e attaccamenti di ogni genere (abitudini, principi, credenze, ecc.).
Personalmente, io non voglio possessi o attaccamenti, perché voglio rimanere libero. Più sarete distaccati(e), più sarete liberi(e), leggeri(e) e vicini(e) alla soddisfazione durevole.
I falsi attaccamenti
Molti nostri attaccamenti mettono esclusivamente radici nelle nostre percezioni goffe ed erronee, perché la nostra mente non ha ancora la lucidità di un grande saggio. Lasciatemi fare un esempio che riguarda molte persone (potete trovarne centinaia d'altri): la sindrome dell'imballaggio.
Il giovane Luigi riceve, per il suo compleanno, da parte di sua madre il nuovo smartphone che lui stesso aveva scelto su un sito di vendita. Lo schermo è ricoperto di ditate. Luigi mostra un'aria molto delusa.
- Dov'è l'imballaggio?
- Non entrava nel sacchetto allora…
- E perché è tutto sudicio?
- L'ho solo provato un po'.
- Pfff!
- Ma se vuoi recuperare l'imballaggio, ce l'ho ancora.
- Non è più lo stesso!
- E te ne sei accorto? Ti ho preso il nuovo modello, che è più performante.
- Già, ma non è nemmeno il colore che volevo.
- Pensavo ti piacesse.
- Sì, insomma…
Invece di essere colmo di gratitudine e di saltare al collo di sua madre, Luigi tiene il broncio, l'aria delusa. I soli responsabili del suo malcontento? I suoi numerosi attaccamenti!
Sapendo che sua madre gli ordinava uno smartphone, questo fatto divenne un mero acquisto, che cancellò ogni ragione per rallegrarsi. Oltre all'attaccamento all'oggetto stesso, ecco quelli che Luigi ha sviluppato:
- L'imballaggio dell'oggetto.
- La scoperta dell'oggetto disimballandolo personalmente.
- Essere il primo a toccarlo (dalla sua uscita dalla fabbrica).
- Essere il primo a utilizzarlo.
- Vederlo completamente pulito per un istante (poco prima di maneggiarlo).
- Il colore che aveva scelto.
Potremmo quasi dedurre che Luigi preferisca il disimballaggio del suo smartphone che lo stesso smartphone. Eppure:
- L'imballaggio costa molto meno del suo contenuto.
- Il disimballaggio dura molto meno tempo dell'uso dello smartphone.
La sua reazione ci dimostra inoltre che lui avrebbe preferito un modello meno performante che avrebbe potuto disimballare personalmente (piuttosto che il contrario). Inoltre, sembra considerare che il valore del suo regalo sia significatamente ridotto se non è il primo a tenerlo in mano.
Infine, i suoi attaccamenti gli fanno credere che un colore diverso da quello che aveva scelto s'imporrà sempre ai suoi occhi. Ora, è probabile che guarderà il suo smartphone solo il primo giorno. Nel resto del tempo, il suo sguardo sarà immerso solamente nei testi e nelle immagini che saranno visualizzati sullo schermo.
Un buon modo per individuare i vostri attaccamenti consiste semplicemente nel prestare attenzione a ogni vostra irritazione. Quando vi sentite scontenti(e), delusi(e) o inquieti(e), concentratevi sulla causa e guardate fino a che punto potete accettare la situazione. Potete anche indirizzare la vostra attenzione verso i benefici che può produrre.
I “falsi attaccamenti” causano una vera sofferenza. Si insinuano in tutte le nostre abitudini quotidiane, nel nostro modo di valorizzarci, in tutto quello che contribuisce a “farci sognare” (arte, musica, cinema, oggetti che ci evocano sensazioni felici, ecc.).
Attenzione: i “falsi attaccamenti” sono dei veri attaccamenti! Sono falsi per la superficialità del loro obbiettivo (in contrasto con obbiettivi più sostanziali, come il sesso, la musica o il cibo).
I “falsi attaccamenti” riguardano sovente le apparenze o il “pettegolezzo”.
Cercate di individuare la maggior parte dei vostri “falsi attaccamenti”. Sono i più facili da abbandonare.
Io non sono attaccato a niente!
Più se ne ha – di attaccamenti – e meno li si vede!
Soltanto stando separati dalle cose possiamo comprendere i nostri attaccamenti per esse. Diciamo tutti:
- Io posso restare solo, nessun problema!
Ma quando ci si trova veramente soli, si sente la mancanza, si è tristi, ci si lamenta. Diciamo tutti:
- La sigaretta, smetto quando voglio!
Ma quando ci si trova senza per tutto un giorno, si supplicherebbe chiunque per averne una. Tutti diciamo:
- Io non mi abbasserò mai a leggere questo tipo di rivista!
Ma se non c'è che questa nella sala di attesa del dottore, ci si avventa sopra, piuttosto che affrontare il silenzio del posto.
Inoltre, anche se l'aria indifferente di Luigi lasciava immaginare un distacco completo dal suo smartphone, perderlo l'avrebbe sicuramente affranto. Le sue grida di frustrazione avrebbero allora mostrato tutto il rumore del suo attaccamento venuto fuori dal suo nascondiglio silenzioso.
Come distaccarsi?
Non incollarsi più
Non c'è una ricetta miracolosa per il distacco. È un processo che richiede tempo. Per comprendere il distacco, prima occorre comprendere l'attaccamento.
Praticamente di continuo, la mente si incolla alle idee, alle convinzioni, alle critiche, alle cose che percepisce con avidità, alle cose che percepisce con avversione.
Alcuni la chiamano anche “l'ego”.
Anche l'avversione fa parte dell'attaccamento, perché da un lato, ci si attacca all'idea che si tratta di un'avversione, d'altro canto, ci si attacca a voler restare lontani dall'oggetto di questa avversione.
Per distaccarsi, bisogna dunque comprendere. Per comprendere, occorre rinnovare frequentemente la vigilanza, con neutralità, vedere il processo dal vivo.
È a forza di smascherare gli attaccamenti all'opera che, poco a poco, la mente si scolla da loro. La mente prende le distanze, cessa di identificarsi con le cose alle quali era attaccata fino a quel momento. La colla dell'identificazione – o quella del desiderio – non si forma più. Di conseguenza, la vecchia finisce per seccare e sbriciolarsi. Così un attaccamento cade; un passo in più è fatto nella rinuncia.
Anche se il processo di distacco fosse molto graduale, talvolta potrete avere delle prese di coscienza che vi faranno fare un grande salto.
Come abbiamo visto nel capitolo precedente, numerosi attaccamenti sono il frutto di opinioni errate. Se prendete l'abitudine di percepire le cose come sono in realtà, senza nessun giudizio, idea preconcetta o commento, riuscirete a individuare questi attaccamenti gli uni dopo gli altri.
Per sfuggire alla presa degli attaccamenti, Buddha raccomanda di:
- sorvegliare le porte dei sensi
- stabilire l'attenzione
- mangiare con moderazione
- coltivare lo stato di veglia (dormire solamente quanto è necessario)
La rinuncia non è un estremo
La via dell'estremo è all'opposto della saggezza e del benessere interiore. Come è spiegato più in alto in questo articolo, si rinuncia gradatamente e, solamente, a ciò di cui è facile disfarsi. Inoltre, la rinuncia è molto più una questione della mente che cessa di afferrare che una questione di privazione dei comfort materiali.
L'austerità non fa l'asceta, altrimenti Cro-Magnon sarebbe stato il re dei rinuncianti! Egli era pieno di desideri, di paure e di ignoranza, come – praticamente – qualsiaisi essere vivente.
Lasciare andare tutto
Se la vostra mente non ha più potere su nulla, avanzerete verso la sua liberazione così come sicuramente l'acqua di un fiume scorre verso l'oceano.
Immaginate che la vostra mente sia una barca sul fiume della vita. Quando vi impigliate da qualche parte, gettate un'ancora, permettete ogni attracco, voi non andrete più avanti.
Più si lascia andare, più si abbandona, più si pulisce, più ci si libera, più si rinuncia e più si assapora una libertà autentica.
Se tu rinunci a tutto, non ti resta più nulla! Deve essere molto triste la vita così!
Questa me l'aspettavo! In risposta, ecco una parola, nonchè il capitolo seguente…
La vera felicità non è ottenere ciò che si vuole. È non volere più.
La vera ricchezza
Io sono molto più ricco di un uomo d'affari miliardario, poiché possiedo molto tempo libero. E come considerarsi libero, o anche ricco, quando non si ha praticamente del tempo libero? Solo con la rinuncia questo è possibile. Anche un povero, se non rinuncia a nulla, non avrà nessuna libertà. Sarà intrappolato nelle sue abitudini, nelle sue percezioni e nell'immagine che ha di se stesso.
Quando si rinuncia al denaro, la vita diventa ricca.
Teoricamente, i vantaggi della ricchezza materiale sono tanto apprezzabili gli uni come gli altri:
- Comfort
- Gioia
- Sicurezza
- Scelta
- Benessere
- Felicità
- Soddisfazione
Tuttavia, contrariamente a quello che i film, i videogiochi e la pubblicità riescono a farci credere, il denaro è lontano dal fornire la soddisfazione. Anzi si verifica il contrario: più se ne ha e più se ne vorrebbe ancora, quindi meno si raggiunge l'appagamento. Questo è il principio dell'avidità. Anche gli uomini e le donne più ricchi del pianeta risentono della mancanza di ciascuno dei vantaggi citati nell'elenco sopra.
Se il denaro donasse soddisfazione, tutti i ricchi del mondo ne sarebbero ricolmi. Sarebbero così generosi che non mancherebbe più nulla a nessuno sulla Terra.
Beninteso, esistono persone ricche relativamente soddisfatte. Tuttavia, il loro benessere deriva dal comportamento della loro mente più che dai loro possessi.
Se solo la ricchezza spirituale è in grado di offrire comfort, gioia, sicurezza, scelta, benessere, felicità e soddisfazione, allora non è lei che, più di ogni altra cosa, vale la pena di essere coltivata?
Noi vogliamo sempre essere indipendenti. Tuttavia, le nostre decisioni e azioni non contribuiscono che a una dipendenza sempre maggiore. Non varrebbe la pena di metterle in discussione?
Ricordatevi molto bene: il distacco è la chiave della vera ricchezza.
Per non rischiare amari rimpianti, aprite i vostri occhi interiori fin d'ora. Non aspettate di essere vecchi(e) o morti(e) per coltivare il distacco. Questo diventerà – soprattutto nel caso della morte – molto più difficile.